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venerdì 31 maggio 2013

Fumo: lo psicoterapeuta ci spiega perché sia tanto difficile smettere

“Occorre re-imparare a gestire le emozioni negative, che affogavamo nella sigaretta" spiega da ex fumatore lo psicoterapeuta Giovanni Porta.

Smettere di fumare non è semplice: quando si accende una sigaretta dietro l'altra sembra addirittura impossibile liberarsi dal circolo vizioso che induce migliaia di persone a cercare nottetempo il più vicino distributore automatico perché, senza l'ultima boccata, è impensabile dormire. "Spesso affidiamo alla sigaretta una parte della gestione delle nostre emozioni - spiega Giovanni Porta, psicoterapeuta ed ex fumatore - La sigaretta diventa per il fumatore la risposta a molte problematiche. Stress lavorativo? Sigaretta. Litigio? Sigaretta. Ansia per il futuro? Sigaretta. Personalmente, credo che il punto più difficile nello smettere di fumare sia proprio re-imparare a gestire le proprie emozioni e i propri conseguenti comportamenti senza avere la "stampella" della sigaretta. Il fumo diviene una sorta di magica panacea che consente di sopportare meglio le difficoltà esistenziali. La sua assenza è temuta non solo per la temporanea difficoltà fisiologica che l'astinenza da nicotina comporta, ma anche e soprattutto per le attese conseguenze nefaste che un suo non-uso può generare. Questa evidente difficoltà a fare a meno del tabacco può avere anche delle conseguenze sull'autostima". Il fumo di sigaretta comporta due tipi di dipendenza. La dipendenza fisica, da nicotina, è quella più facile da vincere, in quanto si esaurisce nel giro di una settimana o poco più. Molto più difficile da affrontare è la dipendenza psicologica dalle sigarette, quella che ci fa dire non smetterò mai.
“Accendersi una sigaretta, per un tabagista, rappresenta un gesto che induce forte sollievo, tanto da far affermare a molte persone fumare mi piace. - continua Giovanni Porta - In realtà, non è affatto corretto parlare di piacere, per quanto riguarda il fumo: infatti, accendersi una sigaretta non fa sperimentare alcun piacere, ma solo diminuire la spiacevole sensazione di astinenza da nicotina. È lo stesso piacere che si prova quando, dopo essersi dati un pizzicotto, piano piano il dolore si riduce.
Un elemento che rende difficoltoso smettere di fumare è che spesso le persone usano le sigarette come oggetti di sublimazione e di contenimento emozionale. Molto frequente, ad esempio, sentire qualcuno affermare cose del tipo: sono troppo nervoso, ora mi accendo una sigaretta, quasi che il non farlo potrebbe lasciare spazio a delle incontrollate reazioni di nervosismo. In termini psicologici, questa persona sublima il suo nervosismo nella sigaretta. Chi decide di smettere di fumare si trova a dover gestire una certa dose di paura: che ne sarà di me, del mio equilibrio, delle mie relazioni, senza le sigarette?
I milioni di persone che sono riuscite a smettere dimostrano che tutte le terribili paure e ansie legate all'astinenza dal fumo sono del tutto infondate, anzi lasciano spazio a miglioramenti fisici e di salute che ampiamente ripagano l'iniziale sforzo. Questo affermano quanti hanno smesso, ma mentre si accende una sigaretta dietro l'altra la prospettiva non è certamente così rosea.
Come faccio a gestire le mie emozioni senza la sigaretta? In che cosa troverò conforto e riparo, se non nell'amata sigaretta? 
Per smettere di fumare bisogna diventare più abili nella propria gestione emotiva. In altre parole, invece di "calmare" grazie al tabacco le emozioni di difficile gestione, bisogna imparare ad ascoltarle e confrontarcisi". 
Facciamo un esempio: un fumatore arrabbiato che non vuole mostrare la propria rabbia può uscire dalla stanza con la scusa di dovere fumare e calmarsi piano piano boccata dopo boccata, ma che fa un ex fumatore arrabbiato? A questi non resterà che ascoltare la propria rabbia (cosa per nulla piacevole), capire da cosa si è generata, e decidere che farne. "In altre parole, - spiega Giovanni Porta) mentre le sigarette aiutano ad abbassare il livello di attivazione emotiva grazie al finto piacere dato dalla soddisfazione della dipendenza da nicotina, gestire le emozioni senza di esse è più complicato, in quanto le emozioni si presentano in tutta la loro intensità. L'unico modo per attenuare un livello emotivo poco piacevole è dare una prospettiva a quell'emozione, cioè decidere cosa fare in conseguenza di essa". Nell'esempio fatto in precedenza, capire le ragioni della mia rabbia e agire nella direzione della loro soluzione, magari confrontandomi con chi mi ha fatto arrabbiare e andando in fondo alla questione. 
“Quasi tutte le persone che hanno smesso di fumare raccontano di aver migliorato la propria autostima, - conclude Giovanni Porta - in quanto sono riuscite a fare una cosa che ritenevano molto difficile. Credo che, in termini di autostima, anche uno stile maggiormente diretto nel gestire le proprie emozioni e i propri rapporti umani possa generare un notevole miglioramento della propria considerazione di sé. Essere più presenti, a se stessi e agli altri, invece di fuggire nel fumo..."

martedì 12 marzo 2013

L'arte che ti cambia con la psicoterapia: a Roma un ciclo di serate per stare meglio con se stessi

L'arte che ti cambia con la psicoterapia:
a Roma un ciclo di serate per stare meglio con se stessi
Da Marzo a Maggio parte al Sinergy Art Studio un ciclo di incontri di arteterapia ad ingresso libero.

Lo psicoterapeuta esce dallo studio e sale sul palcoscenico insieme a chi sia interessato a un percorso di crescita personale tramite metodologie artistiche. Cinque incontri per conoscersi in maniera diversa, per confrontarsi con il proprio modo di stare al mondo, per provare a cambiare quello che non va, si svolgeranno a Roma da marzo a maggio 2013. Regista e psicoterapeuta Giovanni Porta, specialista in arteterapia.
“Ho scelto di lavorare con l'arte - spiega Giovanni Porta , psicoterapeuta ed attore - perché facilita notevolmente l'espressione di se stessi, dei propri vissuti, problemi, desideri. Facendo arte le persone escono dagli schemi quotidiani, allentano le barriere dentro le quali si difendono nella vita di ogni giorno, accettano di dare voce a parti di sé spesso taciute. Molte persone, infatti, invece di dare ascolto alle proprie sensazioni, proseguono dritte per la loro strada, magari scoprendo un giorno di iniziare ad avere a che fare con sintomi spiacevoli, i più comuni dei quali sono ansia, umore depresso, panico, senso di estraneità rispetto alla vita che hanno scelto. L'arte è un luogo dove fare qualcosa del proprio disagio, dove renderlo costruttivo, dargli una nuova prospettiva, una possibilità di emergere e di proporre nuovi comportamenti, magari inesplorati. Liberare i propri vissuti dalla censura è il primo passo per costruire una vita a misura di se stessi."

Programma
15 marzo - Trovare la propria poesia
5 aprile - Miti che indicano strade
19 aprile - Oltre la maschera
10 maggio - Tutto l'amore che voglio

Gli incontri si svolgeranno di venerdì, dalle 20,30 alle 22,30 presso il Sinergy Art Studio di via di Porta Labicana 27, a Roma, in zona S. Lorenzo.
Iscrizioni
Per prenotarsi è sufficiente mandare una mail a: giovanniporta74@gmail.com e attendere la conferma dell'avvenuta prenotazione.
Per ulteriori informazioni artiepsicologie.blogspot.com oppure www.giovanniporta.it



15 MARZO - TROVARE LA PROPRIA POESIA
Tutti abbiamo provato in qualche momento della nostra vita a scrivere una poesia, scontrandoci con le molte difficoltà di questa forma d'arte. Trasformare le parole in poesia richiede certamente abilità tecnica, ma non solo. La poesia è una specie di essenza pura espressiva: la poesia non descrive ma evoca tramite immagini, metafore, suoni. In questo, si stacca molto dall'uso che normalmente si fa del linguaggio, è più simile a come funziona un sogno, o un gioco che non a come normalmente raccontiamo fatti e dettagli.
Ma se non ho nessuna velleità artistica di comporre poesie, che senso può avere per me mescolare poesia e psicologia in un percorso di crescita personale? Il processo di costruzione di una poesia richiede a mio avviso una qualità molto utile anche nella vita: la sincerità, la capacità di dirsi schiettamente come vanno le cose, cosa provo, di cosa sono soddisfatto e di cosa no. Solo in questo modo nella poesia si possono creare espressioni così precise da fare vibrare al sentirle, solo così nella vita si può modificare una situazione insoddisfacente. Insomma, esprimere invece di fare finta di niente, lasciando parlare tutte le parti di sé, anche quelle più scomode, perché magari proprio quelle hanno da dire le cose più interessanti.
Scrivere poesie cioè fare un grande gioco di ruolo con se stessi, ascoltarsi e darsi il permesso di dire le cose come vengono in mente, nella prospettiva di provare a trasformare la propria vita in un'opera d'arte.
Il laboratorio di venerdì 15 marzo avrà la durata di due ore e mescolerà tecniche di meditazione, movimento, scrittura creativa e psicoterapia della gestalt. Per partecipare non serve avere precedenti esperienze nel campo della scrittura poetica.

5 APRILE - MITI CHE INDICANO STRADE
Tutti abbiamo avuto dei modelli, delle figure piene di fascino che ci hanno particolarmente colpito, al punto di farci venir voglia di emularli, di diventare come loro, di condividere la loro missione e i loro obiettivi. Queste figure sono i nostri miti, sono promesse fatte a noi stessi, magari in epoche antiche della nostra vita, sono i modelli a cui un giorno decidemmo o ci spinsero a ispirarci, è per questo che ad essi è legata tanta energia di sogni, speranze, devozione.
"Il mito è il fondamento della vita, lo schema senza tempo, la formula secondo cui la vita si esprime quando fugge al di fuori dell'inconscio" (T. Mann)
I miti agiscono spesso in maniera non consapevole, influenzano prese di posizione e decisioni di vita, lavorano "sotto coperta" in maniera incessante. Così come possono essere fonte di forza e ispirazione, i miti possono anche generare problemi, soprattutto quando non li abbiamo scelti, quando ci sono stati inculcati come personaggi di una commedia non nostra. Possiamo allora trovarci a recitare copioni che non ci appartengono, avendo la sensazione di trovarci imprigionati in una vita che non ci rappresenta, o ancor peggio in un immutabile destino.
Prendere coscienza dei propri miti, personali e familiari, per farne un uso consapevole: comprendere in cosa mi sono utili e in cosa no, capire in quale direzione mi spingono ad andare, assumermi la responsabilità della direzione verso la quale sto camminando, non lagnandomi di un destino già scritto ma scegliendolo, giorno per giorno, quello che voglio.
Il laboratorio di venerdì 5 aprile avrà la durata di due ore e utilizzerà tecniche di rilassamento, teatro e psicoterapia della gestalt.

19 APRILE - OLTRE LA MASCHERA
Un affascinante viaggio dietro le quinte del personaggio che porta il tuo nome
Il problema non è indossare maschere: tutti ne indossiamo e, alle volte, proprio le maschere ci aiutano a cavarcela nel mondo senza spendere troppa fatica. Il problema è quando le maschere sembrano prendere autonomia, e iniziamo a fare le cose per abitudine, o magari a sentirci bloccati, quasi cristallizzati in scene che si ripetono continuamente. La realtà è continuo mutamento e richiede per questo continui adattamenti e modifiche di comportamento. Chi indossa maschere rigide e non sostituibili è destinato a frequenti tristezze, perché avrà difficoltà significative ad adattarsi alle diverse situazioni che la vita gli propone. Si creano allora le situazioni del tipo "vorrei ma non posso" in cui i limiti dell'abitudine sovrastano la nostra ricerca della felicità, e ci fanno perdere occasioni, tempo, e gioia di vivere..
Ognuno di noi ha delle maschere preferite che corrispondono ai ruoli cui siamo più abituati: di solito, risulta più facile indossare dei ruoli accettati socialmente, tipo la brava ragazza, l'onesto lavoratore, l'uomo o la donna di successo. Più problematici da interpretare sono i ruoli meno ambiti, magari cattivi o meno virtuosi secondo la logica comune. Ecco quindi che iniziamo a nascondere, mettere nell'ombra e magari a reprimere le emozioni che reputiamo meno accettabili, come nel fantasma dell'opera mettiamo in soffitta e chiudiamo per bene a chiave. Il problema è che più nascondiamo a noi stessi, più energia ci vuole per mantenere imprigionate le parti escluse...
In questo laboratorio, in un contesto accogliente e protetto, lavoreremo fisicamente sulla nostra maschera nascosta. Attraverso tecniche teatrali, psicologiche e di movimento, proveremo a vedere che effetto fa uscire qualche istante dai nostri ben rodati copioni esistenziali, e concederci di lasciare uscire quelle parti di noi che spesso teniamo nell'ombra.

10 MAGGIO - TUTTO L'AMORE CHE VOGLIO
UN'OCCASIONE PER ENTRARE IN CONTATTO CON SE STESSI, PER CONOSCERE UN PO' DI PIÙ IL PROPRIO MODO DI RELAZIONARSI CON GLI ALTRI, LE PROPRIE SPERANZE, ILLUSIONI E FANTASIE IN FATTO DI AMORE.
Di solito ognuno di noi afferma con forza di voler amore. Molti, in un modo o nell'altro, si portano dietro una fame d'amore che ha radici profonde.
Cosa voglio dire realmente quando pronuncio le parole "Voglio amare"? Che cosa sto cercando davvero? Di che tipo di amore sento il bisogno? Sono in grado di riconoscerlo se lo incontro?
In questo laboratorio lavoreremo su alcune di queste importanti questioni, attraverso una serie di esperienze concrete. Ognuno potrà entrare in contatto con il proprio abituale modo di fare e con le proprie aspettative in fatto di amore. Daremo la possibilità ai partecipanti di confrontarsi con i propri pensieri ed emozioni, in un contesto accogliente e protetto.

Trovare la propria poesia per curare l'animo umano


Il 15 marzo a Roma un laboratorio gratuito

La poesia come cura dell'anima, è la proposta particolare che arriva da uno psicoterapeuta, esperto di arteterapia, Giovanni Porta. A Roma un assaggio gratuito presso il Sinergy Art Studio

La poesia come cura dell'animo umano, i letterati da sempre ne sostengono le virtù, ma ora a Roma uno psicoterapeuta esperto in arteterapia, Giovanni Porta, la usa davvero come terapia. "Scrivere poesie - spiega - significa fare un grande gioco di ruolo con se stessi, ascoltarsi e darsi il permesso di dire le cose come vengono in mente, nella prospettiva di provare a trasformare la propria vita in un'opera d'arte. Il processo di costruzione di una poesia richiede a mio avviso una qualità molto utile anche nella vita: la sincerità, la capacità di dirsi schiettamente come vanno le cose, cosa provo, di cosa sono soddisfatto e di cosa no. Solo in questo modo nella poesia si possono creare espressioni così precise da fare vibrare al sentirle, solo così nella vita si può modificare una situazione insoddisfacente. Insomma, esprimere invece di fare finta di niente, lasciando parlare tutte le parti di sé, anche quelle più scomode, perché magari proprio quelle hanno da dire le cose più interessanti".
A Roma è possibile avere un assaggio a ingresso libero delle tecniche utilizzate da Giovanni Porta il prossimo 15 marzo presso Sinergy Art Studio di via di Porta Labicana 27, in zona S. Lorenzo.
“Tutti abbiamo provato in qualche momento della nostra vita a scrivere una poesia, - continua Giovanni Porta - scontrandoci con le molte difficoltà di questa forma d'arte. Trasformare le parole in poesia richiede certamente abilità tecnica, ma non solo. La poesia è una specie di essenza pura espressiva: la poesia non descrive ma evoca tramite immagini, metafore, suoni. In questo, si stacca molto dall'uso che normalmente si fa del linguaggio, è più simile a come funziona un sogno, o un gioco che non a come normalmente raccontiamo fatti e dettagli. E' uno strumento che può aiutarci molto in un percorso di crescita personale, che ci porta verso il benessere".
Il laboratorio di venerdì 15 marzo avrà la durata di due ore e mescolerà tecniche di meditazione, movimento, scrittura creativa e psicoterapia della gestalt. Per partecipare non serve avere precedenti esperienze nel campo della scrittura poetica, ma solo avere la voglia di mettersi in gioco.
I prossimi incontri
5 aprile - Miti che indicano strade
19 aprile - Oltre la maschera
10 maggio - Tutto l'amore che voglio

Gli incontri si svolgeranno di venerdì, dalle 20,30 alle 22,30 presso il Sinergy Art Studio di via di Porta Labicana 27, a Roma, in zona S. Lorenzo.

Iscrizioni
Per prenotarsi è sufficiente mandare una mail a: giovanniporta74@gmail.com e attendere la conferma dell'avvenuta prenotazione.
Per ulteriori informazioni artiepsicologie.blogspot.com oppure www.giovanniporta.it

martedì 15 gennaio 2013

Gelosia e sindrome di Rebecca

Molto spesso si sente parlare della gelosia romantica, ovvero di quel tipo di gelosia che si prova all’interno della relazione di coppia. Ma che cos’è con esattezza? Perché certe persone sembrano esserne completamente soggiogate mentre altre si dichiarano completamente immuni dalla gelosia? La gelosia può essere declinata in vari modi ma possiamo affermare che rispecchia un problema più ampio che è la difficoltà a vivere nella coppia un rapporto di reciprocità e di scambio con l’altro. La gelosia in questo senso ha a che vedere con fantasie distruttive rispetto al legame, e sono per questo dei veri e propri attacchi al rapporto di dipendenza. Molte persone gelose difatti denunciano un profondo senso di instabilità e fragilità quando si sentono “vincolati” all’altro, sentimenti che non provano quando sono “single”. Per certi versi, il geloso soffre del rapporto di coppia e finisce per controllare il proprio partner in maniera ossessiva. La sua pretesa diviene quella di poter possedere i pensieri, le emozioni e perfino il passato dell’amato. A tal proposito è opportuno parlare di un tipo di gelosia meno nota ma non per questo meno presente nei rapporti d’amore descritta attraverso la curiosa dicitura di “Sindrome di Rebecca”. Essa deriva dal celebre romanzo di Daphne Du Maurier “Rebecca, la prima moglie” (1938), da cui è stato poi tratto il film omonimo di Alfred Hitchcock (1940). La storia del film si articola sulla base di un matrimonio tra una dama di compagnia e un ricco vedovo, Maxim De Winter. Il ricordo assillante della prima moglie, Rebecca, renderà la relazione ingestibile fino a rendere folle la povera ragazza. Parlare di “Sindome di Rebecca” o di Gelosia Retroattiva significa quindi parlare della gelosia che una persona prova per il passato sentimentale del partner. Chi è affetto da questo disturbo emotivo, solitamente soffre terribilmente per i continui confronti (immaginari) con l’ex coniuge o fidanzato/fidanzata. Spesso la rimuginazione mentale, gli interrogatori pressanti contro il partner, corrodono il rapporto, talvolta in maniera irrimediabile. Bisogna dire che la gelosia retroattiva è molto più comune di quanto si immagini; infatti la gelosia riguardo i precedenti partner coinvolge moltissime coppie. Bisogna aggiungere che i legami affettivi, i legami d’amore sono sempre per certi versi rischiosi. Chiunque sia implicato in un rapporto di coppia sa bene quanto questo significhi essere, per così dire, esposti e per certi versi, in balia del desiderio dell’altro. Parlare dei legami sentimentali significa, quindi, trattare sempre di un labile confine dove nulla può essere dato per certo. La gelosia, per molte persone, è un vissuto emotivo che si presenta con una grande intensità e che spesso logora e stravolge il rapporto fino a renderlo insopportabile. Ma cosa si può fare per aiutare chi soffre della “Sindrome di Rebecca?”. In maniera sintetica si può sollecitarlo a riconoscere che l’idea che il partner pensi alla propria ex è solo una fantasia proiettata e non la realtà (smitizzare l’assunto secondo cui si pensa "la gelosia non è mia ma lui/lei vorrebbe tornare" versione riconducibile alla più nota "non sono io razzista è lui che è nero"); inoltre il paziente va aiutato a riconoscere come questa fantasia produca emozioni distruttive verso se stessi, verso il partner e verso il rapporto di coppia. Altri obiettivi sono la comprensione del senso emozionale della fantasia di confronto con l’ex (per esempio la fantasia di essere un ripiego o semplicemente una seconda scelta…); la messa in discussione delle proprie fantasie (di possesso, narcisistiche, di autoesclusione…); l’accettazione dell’aiuto di uno psicoterapeuta nel caso si comprenda che non si riesca da soli a risolvere il problema. Chi soffre della “Sindrome di Rebecca” deve insomma affrontare il proprio problema provando a interrogarsi riguardo le proprie fantasie. Perché mi costringo al paragone con l’ex? Spesso la risposta mostra tutta una serie di fragilità rispetto alla propria identità personale e allora la psicoterapia è sicuramente un valido aiuto per accompagnare un percorso di sviluppo emotivo. Anche perché, sebbene a volte si legga il contrario, raramente la gelosia alimenta e vivacizza un rapporto di coppia poiché spesso è invece il campanello di allarme (frequentemente vere e proprie scampanellate) di blocchi emotivi da affrontare per vivere la relazione in modo appagante e soddisfacente. Senza contare che alla lunga la gelosia può sfociare in comportamenti aggressivi e decisamente violenti: un problema più noto come “stalking”. Ovviamente non tutte le gelosie diventano casi di stalking ma molto spesso la gelosia retroattiva diventa un valido motivo per concludere un rapporto. Bisognerebbe forse ricordarsi delle parole del celebre scrittore francese Roland Barthes: “(...) la vera originalità non è né in me né nell’altro, ma nella nostra stessa relazione. Ció che bisogna conquistare è l’originalità della relazione. La maggior parte delle ferite d’amore me le procura lo stereotipo: io sono costretto, come tutti, a far la parte dell’innamorato: a esser geloso, trascurato, frustrato come gli altri. Ma quando la relazione è originale, lo stereotipo viene sconvolto, superato, evacuato, e la gelosia, a esempio, non ha piú luogo d’essere in questo rapporto senza luogo (...)”. In conclusione, ogni rapporto dovrebbe essere qualcosa di nuovo e, vivere nel passato e del passato dell’altro, non può che limitare la crescita della nuova relazione e quindi, di riflesso, degli individui lasciandoli ancorati a ciò che erano e impedendo loro di vedere chi potrebbero essere.
Di Marco Ventola, Psicoterapeuta ad indirizzo Psicoanalitico, Fondatore del Cespig, Centro per la Gelosia - Articolo tratto da La Pelle