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giovedì 27 giugno 2013

Allergie primaverili: come combatterle



Le persone che soffrono di rinite allergica, nei periodi di pollinazione, possono andare incontro a un peggioramento dei propri sintomi a causa di forme di reazione crociata con alcuni cibi molto comuni. Queste le combinazioni accertate finora, ma sicuramente la ricerca medica ne metterà in luce molte altre.


Se siete allergici alle graminacee evitate: Agrumi, Pomodori, Frumento, Anguria
Se siete allergici alle Parietarie evitate: Melone; Ciliegie
Se siete allergici alle Composite evitate: Miele; Prezzemolo; Finocchio; Carota; Sedano

Il gelato fa male?


Gli antichi Romani avevano avuto l’intuizione, ma per un po’ di refrigerio dovevano accontentarsi della neve insaporita. Per arrivare al gelato come lo conosciamo noi, bisogna attendere il 1500, alla corte dei Medici, dove maestro Bernardo completava i banchetti di palazzo con gelati a base di latte o sorbetti alla frutta. Ma il vero primo “re del gelato” fu tale Procarpio, un siciliano noto in tutta Europa per la sua offerta di più di cento sapori, fra i quali, evidentemente, eccellevano gli agrumi dell’isola. Da allora, il gelato è un prodotto che s’identifica con l’Italia, quanto, e forse anche di più, della pasta e della pizza, e non c’è città al mondo che non ospiti una gelateria “all’italiana” dove si vendono cassate, granite o coppe “tuttifrutti”.
Il gelato è bello da guardare, è gustoso e rinfrescante, ma soprattutto può essere un alimento alternativo, naturale e ricco di sapore.
Il suo valore energetico, fonte di grande timore per chi ha problemi di dieta o per i diabetici, varia a seconda dei tipi e, ancora di più, degli ingredienti e delle guarnizioni utilizzate. Quelli a base di latte contengono proteine, calcio e fosforo e una media di 250 calorie ogni 100 grammi. Quelli a base d’acqua, particolarmente quelli con polpa di frutta, hanno un minore contenuto proteico e calorico, ma a loro volta sono più ricchi in zuccheri e vitamine. Un’attenzione al gelato,come elemento integrante della dieta, fa parte di una nuova filosofia della nutrizione, che raccomanda un giusto equilibrio fra piacevolezza e contenuto calorico, tenendo conto che delle 2300-2400 calorie necessarie a un uomo che lavora, non ha problemi di peso e gode di buona salute, circa il 60% deriva dai carboidrati di cui fanno parte gli zuccheri e gli amidi del pane e della pasta. Vanno bene quindi i gelati se si sostituiscono a altri cibi, meno se si aggiungono a un lauto pasto, già squilibrato nel rapporto fra i nutrienti ed al di sopra del fabbisogno calorico. È importante, ad esempio, scegliere un gelato o una granita alla frutta se si è consumato un pasto ricco di grassi, mentre si può indulgere in un cono alla crema o al cioccolato se la cena è stata leggera e ipocalorica.
Non bisogna, inoltre, dimenticare l’aspetto psicologico che accompagna il consumo di un prodotto che gratifica e può costituire, specialmente d’estate, un momento di socializzazione e di buon umore, né il valore energetico e rinfrescante che un gelato può avere dopo una partita di tennis o una passeggiata in montagna. Va detto, infine, che i gelati industriali, che mediamente non sono meno buoni di quelli artigianali, e che hanno in più la garanzia del controllo di qualità degli ingredienti e dell’igiene della produzione, forniscono un minor apporto calorico, con una media di 75 calorie per un cornetto alla panna.

venerdì 31 maggio 2013

PROTIPLUS METODO )3.2.2( Dieta di Mantenimento


Ogni volta che si giunge al termine di un periodo di dieta, sorge spontanea la domada: “ cosa faccio adesso? ”
Il periodo che segue un regime dietetico è sempre molto delicato e critico, dove gli sforzi fatti possono venire vanificati riprendendo tutti i chili persi.

Per ovviare al problema e continuare a mantenersi in forma, ProtiPlus presenta un regime alimentare semplice e pratico che consente di mantenere i risultati ottenuti con il metodo )3.2.2( : la dieta del mantenimento sviluppata a sua volta sullo schema )3.2.2( di ProtiPlus

Si raccomanda di seguire una dieta ipocalorica adeuata, seguendo uno stile di vita sano con un buon livello di attività fisica.

IL METODO )3.2.2( DI MANTENIMENTO si articola in 2 fasi:

 1) FASE PROGRESSIVA DI  MANTENIMENTO. Due settimane
Nelle settimane della fase progressiva della dieta di mantenimento, il contenuto calorico previsto è il medesimo dei giorni di pre-equilibrio nelle settimane di dieta intensiva. Si ha, quindi, una continuazione nei valori, rimanendo circa sulle 1500 kcal e, come già negli utlimi giorni di dieta, lo schema alimentare lascia molta libertà, integrato a colazione, pranzo o cena con un prodotto della gamma Protiplus, più una barretta in uno dei due spuntini giornalieri.
  
 2) FASE PRE-EQUILIBRIO DI MANTENIMENTO. Due settimane
In queste settimane il programma alimentare può essere condotto in completa libertà con alimenti tradizionali oppure prevedere  un‘integrazione con un prodotto Protiplus a scelta tra la colazione, il pranzo la cena o il break. Quest’ultima soluzione, infatti, consente un costante approvigionamento di proteine, con un limitato apporto di grassi e carboidrati.

  
Per ulteriori informzioni visita il sito www.protiplus.it
oppure chiama il numero verde: 800 018 124


giovedì 7 febbraio 2013

Sos alimentazione disordinata in età pediatrica e adolescenziale



In età pediatrica e adolescenziale il richiamo di merendine, cioccolata, caramelle e patatine è spesso forte e per molti irresistibile. Di frequente accade che questi alimenti non siano solo un occasionale “peccato di gola”, ma sostituiscano o vadano regolarmente a comporre i pasti principali della giornata.
A peggiorare la non positiva fama detenuta da alimenti quali patatine, salatini e altri snack salati, si aggiunge uno studio condotto dai ricercatori del Centres for Disease Control and Prevention americano¹, secondo il quale mangiare troppi cibi salati induce, soprattutto i bambini, a consumare, altrettanto in eccesso, bibite zuccherate. Dai risultati dell'indagine è infatti emerso che due terzi dei bambini osservati, oltre 4 mila, consumano quotidianamente bibite e succhi di frutta zuccherati in quantità superiore a quella raccomandata e questo desiderio di 'dolce' è associato a un maggiore consumo di snack salati. Queste abitudini alimentari scorrette portano a un maggiore rischio di sovrappeso e obesità, oltre il 20% rispetto alla media in età pediatrica e adolescenziale.
Alla luce di questi dati diviene importante abituare bambini e adolescenti a porre attenzione ai cibi che consumano ogni giorno, e a non saltare i pasti principali, come la prima colazione, con il rischio di cedere al “cibo spazzatura” a causa di attacchi di fame e capricci. Inoltre per assicurarsi che la dieta dei più giovani sia ricca di tutti i nutrienti necessari alla crescita, e contribuire anche all’equilibrio intestinale, può essere utile, in aggiunta a una dieta varia ed equilibrata e ad uno stile di vita sano, assumere integratori di fibre.
Benefibra è l’integratore alimentare di Novartis Consumer Health a base di PHGG* con un elevato contenuto di fibra (5 gr per dose giornaliera).
La fibra PHGG, ha proprietà distintive ed innovative perché è idrosolubile non gelificante: si scioglie completamente nell’acqua senza gelificare, quindi generalmente non presenta i possibili inconvenienti degli integratori di fibre tradizionali, quali ad esempio la crusca. Infatti, contrariamente alla crusca e alle fibre gelificanti, che possono causare spiacevoli inconvenienti come gonfiore e il ritardato assorbimento di alcuni micronutrienti, la fibra PHGG* contenuta in Benefibra normalmente non crea tensione addominale e meteorismo e non interferisce nell’adulto sull’assorbimento dei principali nutrienti di cui il corpo ha bisogno, come vitamine o sali minerali.

Benefibra è disponibile in farmacia nel formato in bustine monodose pratiche e comode da portare sempre con sé. Ideali per i genitori che anche fuori casa vogliono avere Benefibra sempre a portata di mano per i propri figli. Inoltre Benefibra viene incontro ai difficili gusti dei più giovani grazie al piacevole e delicato sapore di mela verde per la ferenza Liquido Bustine, e con la versione insapore per le bustine in polvere.

Benefibra è disponibile nei seguenti formati:
-    Liquido:12 bustine predosate da 60 ml al gusto di mela verde
-    Polvere: 14 bustine predosate o nel formato barattolo da 96 g.


 ¹ Fonte da sito: http://www.benefibra.it/news/entry/20121211
* Partially Hydrolized Guar Gum = Gomma Guar Parzialmente Idrolizzata.




Per maggiori informazioni visita il sito www.benefibra.it

martedì 15 gennaio 2013

I tanti usi dell'albume



L'uovo e' uno dei prodotti alimentari con il piu' alto contenuto nutrizionale. Notoriamente esso e' considerato formato da due parti, che di norma vengono consumate insieme ma possono essere utilizzate anche separate: il bianco o albume, e il rosso o tuorlo. Il primo non e' altro che una soluzione colloidale costituita principalmente da proteine e da piccole quantita' di lipidi, sali minerali e gas. Il tuorlo, invece, e' costituito prevalentemente da amminoacidi essenziali. Queste caratteristiche fanno dell'uovo uno degli alimenti proteici piu' indicato per un'alimentazione corretta anche se particolare attenzione va posta, nella dieta del bambino, soprattutto nel primo anno di vita. La composizione proteica dell'albume, infatti, puo' causare manifestazioni allergiche e per questo motivo deve essere introdotto con gradualita' nello svezzamento. Ma le virtu' dell'uovo non finiscono qui. L'albume, in particolare, e' adatto all'alimentazione di chi soffre di ipercolesterolemia o di calcolosi della colecisti in quanto, a differenza del tuorlo, e' praticamente privo di grassi e colesterolo: per questo motivo molti body builder sono grandi consumatori di bianchi d'uovo. Lo stesso vale anche per gli atleti. Non a caso in commercio si trovano molti prodotti a base di albume e da qualche tempo alcuni produttori hanno iniziato a commercializzare gli albumi pastorizzati, un prodotto ottenuto a una temperatura inferiore a quella di coagulazione dell'albume (che avviene intorno ai 70 gradi). Tuttavia l'albume, al contrario di molti altri alimenti, compreso il tuorlo, possiede scarsa digeribilita' allo stato crudo. La cottura, coagulando le proteine, facilita l'azione degli enzimi digestivi e neutralizzando l'avidina, facilita l'assorbimento intestinale della vitamina H (biotina). Un'altra proprieta' dell'albume e' l'azione antisettica dovuta alla presenza di alcune proteine la cui funzione battericida va affievolendosi mano a mano che l'uovo invecchia. Tra queste il lisozima, e' utilizzato in medicina per le sue proprieta' antibatteriche, nell'industria alimentare, invece, e' usato come conservante. Discorso a parte merita l'uso dell'albume in cosmesi. Una delle prime testimonianze risale al XII secolo, quando Trotula, donna medico della scuola salernitana consigliava nel suo trattato di cosmesi De ornatu mulierum - di truccare le labbra secondo la moda delle donne saracene, strofinandovi la corteccia di radici di noce e passandovi poi sopra un colore artificiale che “va preparato cosi': prendi quell'alga con cui i Saraceni tingono le pelli di verde, falla bollire in un vaso d'argilla nuovo con del bianco d'uovo finche' sara' ridotta a un terzo, poi colala e aggiungi prezzemolo tagliato a pezzetti, fa bollire di nuovo e lascia di nuovo raffreddare”. Oggi l'albume e' raccomandato per il suo effetto astringente e quindi per curare la pelle grassa; mentre per la sua azione schiarente e levigante e' utilizzato per maschere facciali. Per finire una curiosita': sapete che l'acido jaluronico puo' essere utilizzato come sostituto alimentare dell'albume? E' successo durante la seconda guerra mondiale nel 1942, quando non si trovavano piu' uova per i prodotti da pasticceria, e a un giovane studente di Budapest, Endrea Balazs, venne l'idea di sostituire l'albume dell'uovo con il famoso acido per rispondere alla domanda sempre piu' pressante dei fornai di allora. Ci riusci', ma resta qualche legittimo dubbio sul gusto dei biscotti da lui prodotti. (Tratto da La Pelle)

mercoledì 9 gennaio 2013

Detox-time un aiuto dagli agrumi


Le feste sono finite e per molti è scattata la corsa al recupero della forma perduta.
Secondo i dati rilevati dalla Coldiretti, nell’anno appena iniziato, gli italiani dovranno smaltire quasi cento milioni di chili tra pandori e panettoni, ottanta milioni di bottiglie di spumante, 5 milioni di chili tra cotechini e zamponi e frutta secca, pane, carne, salumi, formaggi e dolci, ventimila tonnellate di pasta,  consumati nelle festività natalizie.
Gli esperti suggeriscono di riprendere, senza eccessivi tagli calorici, una corretta alimentazione ricca di frutta, verdura, a base di cibi leggeri e poco elaborati, che preveda il consumo di acqua e liquidi non gasati, né zuccherini (tisane, the, infusi, spremute …).
Nella dieta disintossicante, depurativa e rigenerante un ruolo importantissimo è ricoperto da frutta e verdura. E gli agrumi in particolare offrono un valido aiuto, naturalmente detox:

Limone:
Dotato di proprietà depurative, disintossicanti e rigeneranti, il limone purifica l'organismo dalle tossine e dalle scorie, fluidifica e pulisce il sangue. Costituisce un valido aiuto per combattere la cellulite. Il suo succo  ha effetti benefici sul fegato, pancreas e sangue, facilitandone le funzioni.

Pompelmo:
Il pompelmo stimola la secrezione dei succhi gastrici e biliari avendo quindi proprietà digestive ed aperitive. E’ inoltre un frutto altamente disintossicante, in grado in grado di eliminare dai liquidi interni (soprattutto la linfa) le sostanze di scarto senza lasciare fiacchi e indeboliti, come spesso accade utilizzando altri tipi di drenanti. Rafforza inoltre stomaco e polmoni, reni e fegato.





Arancia:
Favorisce la circolazione, ossigena i tessuti e combatte i radicali liberi. Ha proprietà diuretiche,  depurative, mineralizzanti e disintossicanti; aiuta la digestione favorendo i processi ed il riequilibrio intestinale.

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CENTRIFUGATO DI AGRUMI E CAROTA
-       1 limone
-       1 arancia
-       1 pompelmo giallo
-       2 carote

Tagliare la polpa degli agrumi e le carote a pezzetti e frullare il tutto.
Servire subito per mantenere le proprietà.


Per saperne di più: www.pomplemojaffa.it
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martedì 4 settembre 2012

Guava: un frutto molto generoso

Secondo una leggenda, in un tempo remoto in un’isola delle Filippine viveva un ragazzo che possedeva un frutteto gigantesco. Conosciuto dalla popolazione locale per la sua generosità, tanto da guadagnarsi il soprannome di Bay (generoso), pare che non mancasse mai di regalare la sua frutta a chiunque ne facesse richiesta. Del resto nel suo giardino erano presenti alberi di tutti i generi e dimensioni. Tra di essi però ce ne era uno che spiccava per la sua bellezza e per la grandezza dei suoi rami e dei suoi frutti, particolarmenti belli e succosi. Si trattava di una pianta senza nome che si diceva fosse sacra. Per questo pur essendo molto invitanti, nessuno aveva mai assaggiato i frutti e anzi la gente del posto riteneva che non fossero commestibili. Un giorno, continua la storia, un’anziana donna affamata, chiese al ragazzo di poter avere qualcosa da mangiare. Purtroppo però nel giardino non c’erano più frutti tranne che quelli sull’albero sacro. Spinto da compassione allora, il ragazzo rivolse una preghiera agli dei chiedendo loro di renderli mangiabili e coraggiosamente ne prese uno per assaggiarlo. Fu così che le divinità, commosse da tanta bontà d’animo e altruismo, tramutarono quel frutto in uno dei cibi più gustosi esistenti e decisero che da allora si sarebbe chiamato Bayabas, dal nome del generoso ragazzo e della sua famiglia (Abas). Leggende a parte, il Bayabas conosciuto anche con i nomi di Guaiava, Guayaba o Guava, è il frutto molto saporito di un albero dal nome omonimo appartenente alla famiglia delle mirtacee. La pianta in questione può raggiungere tra i 2 e i 7 metri, ha un tronco diritto e ramificato di legno duro e la corteccia maculata. Le foglie sono invece di colore verde chiaro mentre i fiori sono bianchi, grandi e profumati, e si presentano solitari a piccoli grappoli. Il frutto è di forma variabile (sferica, ellittica, piriforme), di colore giallo o verde/giallo, liscio o rugoso, con polpa bianca o bianco-gialla o rosa o rossa, dolce, agrodolce o acido, con numerosi semi, piccoli e bianchi. Questa differenza di gusti e colori è data anche dalla particolarità che in natura esistono circa 150 specie diverse della pianta. Originaria probabilmente di un'area compresa tra il Messico meridionale e l'America Centrale, ma non vi sono certezze in merito, la Guava era nota già agli Aztechi, che la chiamavano Xalxocotl (prugna di sabbia). In tempi successivi le prime notizie storiche sul suo consumo, risalgono ai primi decenni del 1500 e si trovano negli scritti di Hernandez de Oviedo. Tipica dei climi tropicali (ma cresce idealmente nello stesso clima che favorisce la coltivazione dei limoni) l’albero del Guava è diffuso anche in Italia e soprattutto in Sicilia dove la maturazione dei suoi frutti avviene tra ottobre e metà dicembre. La produzione maggiore di Guava comunque avviene in Brasile e India, mentre la più grande piantagione al mondo si trova negli Stati Uniti, alle Hawaii. I frutti, ottimi sia freschi che sotto forma di succhi, nettari e confetture hanno pochissime kcalorie (circa 150). Recentemente utilizzato nel settore della cosmetica per la sua essenza particolarmente intensa, secondo una ricerca condotta dal National Institute of Nutrition di Hyderabad, in India, pubblicata su ”Food Research International”, il Guava sarebbe un super concentrato di antiossidanti, visto che ogni 100 grammi di polpa ne contengono ben 500 milligrammi. Inoltre è una ottima fonte di vitamine (A e C) e fibre, e in aggiunta è ricco di potassio e fosforo. Avrebbe inoltre proprietà antibatteriche e astringenti, aiuta a tenere sotto controllo il colesterolo e la glicemia rendendolo particolarmente indicato per chi è affetto da diabete. Per finire pare che le foglie della pianta contengano sostanze dall’effetto analgesico.

venerdì 27 aprile 2012

Dieta per un’abbronzatura intensa


 Per ottenere un'abbronzatura intensa e uniforme è buona regola assumere alimenti ricchi in acqua, sali minerali e vitamine.  L'acqua è molto importante per mantenere la cute idratata e reintegrare le grosse perdite di liquidi causate dalla sudorazione.
Il beta carotene è il nutriente più importante in quanto stimola la formazione di melanina. Tale sostanza oltre a regalarci un colorito più scuro, protegge la pelle dagli effetti negativi delle radiazioni solari.
Tra le numerose altre virtù del beta carotene ricordiamo anche il forte potere antiossidante e la capacità di rafforzare il sistema immunitario e proteggere quello cardiovascolare.
Tra gli alimenti a maggior contenuto di caroteinoidi il posto d'onore spetta alla carota, che contiene ben 1200 microgrammi di vitamina A ogni cento grammi di prodotto (più del doppio della razione giornaliera raccomandata). In generale il beta carotene abbonda nei vegetali gialli, arancioni e verdi come pesche, albicocche, angurie, broccoli, rucola e meloni.
Gli antiossidanti, sono in grado di proteggere la pelle dall'invecchiamento cutaneo e dagli effetti dannosi dei raggi U-V. Questa classe di sostanze, tra cui ricordiamo le vitamine A, C, E, il selenio e il coenzima Q-10, sono presenti in gran parte degli alimenti di origine vegetale.
Acqua, frutta e verdura devono dunque avere un ruolo primario, senza dimenticare di assumere anche gli altri nutrienti nelle giuste proporzioni.

Consigli alimentari pro-abbronzatura

  • Cercate di bere almeno 2 litri di acqua al giorno, distribuiti omogeneamente nell'arco della giornata.
  • Consumate molta frutta e verdura e se necessario, reintegrate i sali minerali persi con integratori idrosalini;
  • La verdura va consumata preferibilmente cruda o cotta al vapore
  • Al bar scegliete spremute e succhi di frutta limitando il consumo di alcolici e di bibite gassate o eccessivamente zuccherate
  • Tra i condimenti preferite l'olio extravergine di oliva perché aumenta l'assorbimento del betacarotene.
  • I pasti non devono essere troppo ricchi ed elaborati, suggeriamo 3 o 4 pasti, meglio se poveri di grassi saturi.

I prodotti (assunzione orale) che fissano, attivano o accelerano il processo di abbronzatura sono sconsigliati. Gli attivatori della melanogenesi sono infatti anche attivatori di melanoma. Bisogna invece scegliere un'abbronzatura naturale, perché la pelle deve reagire adattandosi gradualmente e ispessendo naturalmente lo strato corneo (naturale meccanismo di difesa dai raggi UVB e UVA corti.


RICORDARSI DI ESPORSI IN MANIERA GRADUALE AI RAGGI SOLARI (SOPRATTUTTO PER LE PELLI CHIARE), INIZIANDO ESPONENDOSI SOLO NELLE ORE MENO CALDE DELLA GIORNATA.


Ufficio Stampa - t. 02.349.349.29 - c. 338.71.06.700 - lucia.mariuzzo@studiore.net

giovedì 26 aprile 2012

Cellule staminali nel latte materno: dalla teoria alla realtà



I risultati della ricerca presentati al 7° International Breastfeeding and Lactation Symposium di Medela
(Vienna, 20-21 aprile 2012)
Il latte materno può rappresentare una nuova fonte di cellule staminali? La risposta è si e arriva dal
International Breastfeeding and Lactation Symposium di Medela. La ricerca era stata avviata nel 2007 dal
gruppo di studio della University of Western Australia (UWA) che aveva isolato alcune cellule staminali
contenute nel latte materno. Ora, grazie alle ulteriori ricerche condotte da un nuovo membro del team, la
ricercatrice Foteini Hassiotou, si ha la certezza che esiste la possibilità di estrarre dal latte materno vere e
proprie cellule staminali multipotenti quindi in grado di trasformarsi in molte cellule diverse.
Trovare una nuova “riserva” di cellule di questo tipo nell’individuo adulto è una notizia estremamente
confortante in quanto consentirebbe agli scienziati di portare avanti la ricerca senza dover affrontare il
problema etico di usare cellule embrionali, più potenti di quelle adulte, nell’ambito della medicina
rigenerativa. Il latte materno inoltre è facilmente reperibile e gli esperti hanno trovato cellule staminali in
grande quantità.
“Grazie al sostegno di Medela è stato possibile effettuare ulteriori passi avanti nel campo della ricerca,
dimostrando ancora una volta come il latte materno non sia solo un semplice nutrimento per il bambino -
dichiara Foteini Hassiotou, ricercatrice presso l’University of Western Australia -. Queste staminali possono
diventare cellule di tessuto osseo, cartilagineo, adipose, pancreatiche, epatiche, neuroni. E’ proprio questo
il loro valore: stimolandole opportunamente provetta è possibile ‘trasformarle’ in cellule specializzate di
diversa e svariata natura. D’altra parte ancora molte domande rimangono insolute, in particolare stiamo
ancora studiando il ruolo di tali cellule nei bambini allattati al seno.”
Medela collabora con lo Human Lactation Research Group dalla metà degli anni ’90. Nel corso degli anni
sono state conseguite numerose scoperte scientifiche tra cui nuove conoscenze sull’anatomia del seno e
l’identificazione del reale meccanismo di suzione del neonato. Il team, coordinato dal professor Peter
Hartmann lavora nel campo delle cellule staminali da oltre cinque anni.
“Siamo lieti dei risultati raggiunti dai ricercatori dello Human Lactation Research Group – afferma Daniele
Natali, Managing Director di Medela Italia - L’esistenza di cellule staminali nel latte materno è senz’altro
una scoperta affascinante che apre nuove prospettive in ambito clinico, siamo ansiosi di sapere quale sarà il
contributo che queste cellule potranno avere nello sviluppo del bambino.”
La ricercatrice Foteini Hassiotou ha ottenuto il premio AusBiotech-GSK Excellence Award 2011 proprio per
la sua recente scoperta di cellule staminali nel latte materno.
I risultati dello studio sono stati presentati al 7° International Breastfeeding and Lactation Symposium di
Medela, durante il quale si è parlato anche della relazione tra farmaci e allattamento, composizione del
latte materno e importanza di quest’ultimo all’interno delle terapie intensive neonatali.
Medela ricopre un ruolo fondamentale nella ricerca e produzione di dispositivi per l’allattamento, la neonatologia,
l’aspirazione chirurgica in tutto il mondo. La casa madre è stata fondata nel 1961 nella cittadina di Baar in Svizzera.
Attualmente conta oltre 1000 dipendenti in tutto il mondo e rifornisce più dell’80% degli ospedali di paesi come gli
Stati Uniti e il Regno Unito. La sede italiana è in Località Bargellino a Calderara di Reno, in provincia di Bologna. Oggi
è un’azienda leader e un riferimento per le strutture ospedaliere del nostro Paese. Per maggiori informazioni sui
prodotti e l’allattamento è disponibile il sito www.medela.it

giovedì 22 marzo 2012

Un cappero per curarsi la pelle

Utilizzato in cucina per impreziosire ed esaltare il sapore di tantissime pietanze, il cappero è conosciuto nell’area mediterranea sin dall’antichità. I primi riferimenti all’utilizzo del cappero a fini culinari e medicali si trovano infatti addirittura nella Bibbia, negli scritti di Aristotele e di Plinio il Vecchio. Oggi questo prezioso alimento costituisce una risorsa importante per la nostra economia, uno di quei cosiddetti prodotti di eccellenza che aggiungono lustro alla nostra terra, tanto che sono oltre 1000 gli ettari coltivati a cappero tra la Liguria, la Puglia, la Campania e soprattutto la Sicilia. In particolare è l’isola di Salina, nell’arcipelago delle Eolie, a essere diventata negli anni uno dei centri di produzione più rinomati al mondo, tanto che la Capparis Spinosa qualità Tondina, la pianta da cui appunto si preleva il cappero più comune, è entrata a far parte del paesaggio locale di questa terra. Del resto la caratteristica principale di questo arbusto sempreverde è quella di preferire i substrati calcarei, e quindi di nascere spontaneamente sulle rupi calcaree, nelle falesie, su vecchie mura, formando cespi con rami ricadenti lunghi anche diversi metri che abbelliscono case e antiche costruzioni. Rispetto a questa qualità spontanea, quella coltivata è più rigogliosa. Essa si propaga per seme o preferibilmente per talee (si taglia cioè una parte della pianta e la si sistema in un vaso pieno di terra dove rigenera la parte mancante) che si eseguono in estate, inserendo in una cassetta piena di sabbia e torba un pezzo di ramo di 7-10 cm. Una volta formatesi le radici, si prelevano le piantine e si inseriscono in vasetti di circa 10 cm di diametro. Più difficile la propagazione per semi. Essa avviene in cassette, anch’esse piene di torba e sabbia, lasciate all’aperto nel periodo estivo e riparate in autunno/inverno. La semina può avvenire anche nelle fessure di muri a secco ben esposti al sole in autunno. Occorre però inserire i semi in un pò di muschio o in un fico maturo in modo da proteggerli d'inverno e tenerli umidi. Quale sia il metodo scelto, una volta ottenute le piantine (attorno a maggio/giugno) se ne prelevano i boccioli ancora chiusi (quelli che comunemente chiamiamo capperi) e li si conserva in macerazione sotto sale o sotto aceto. Più raramente si consumano anche i fiori che hanno un sapore simile ma più delicato e prendono il nome di cucuncio, cocuncio o capperone. In ambito culinario si utilizzano anche le giovani foglie come insalata, dopo averle bollite per pochi minuti. Ma i capperi non sono solo un ottimo alimento: essi hanno infatti anche numerose qualità mediche dovute in primis al fatto che contengono più quercetina in rapporto al peso di ogni altra pianta. Questa è un inibitore naturale di vari enzimi intracellulari e un antiossidante naturale. Tra le sue funzioni più importanti: ripristina il tocoferolo (Vitamina E), dopo che  si è trasformato in radicale libero, disintossica la cellula dal superossido e frena la produzione di ossido nitrico durante le infiammazioni. In erboristeria è utilizzata la corteccia della radice i cui principi attivi hanno proprietà diuretiche e protettrici dei vasi sanguigni. Può essere utilizzata nella cura di gotta, emorroidi e varici. Un infuso preparato con radici di cappero e germogli giovani era utilizzato in medicina popolare per alleviare i reumatismi. Recentemente si è appurata, per gli estratti secchi da frutto di Capparis (specie se associati a Olea europea, Glycyrrhiza glabra e Ribes nigrum) un'attività antiossidante cutanea, antiflogistica e antistamino-simile, valida nelle dermatopatie allergiche.

mercoledì 18 gennaio 2012

Canapa in cucina



Da pianta curativa e fibra tessile a ingrediente segreto in tavola: la canapa, il cui nome scientifico è Cannabis Sativa, fa il suo ingresso in cucina con le nuovissime ricette degli chef dell’Università dei Sapori di Perugia, Centro Nazionale di Formazione e Cultura Alimentare.

In collaborazione con il Museo della Canapa di Sant’Anatolia di Narco in Umbria e alla luce della normativa del 2009 del Ministero della Salute Italiano che ha riconosciuto le proprietà nutrizionali della canapa per la salute umana, l’Università dei Sapori di Perugia rilancia sulla tavola un ingrediente antico ma dimenticato, derivante dalle coltivazioni diffuse in tutta la Valnerina fin dalla prima metà del Novecento.
Rivalutata negli ultimi anni sul piano nutrizionale, la canapa è infatti ricca in qualità di olio di carboidrati, vitamine, fibra grezza e sali minerali, come seme di proteine di alta qualità, fibre solubili e insolubili, vitamine, minerali e acidi grassi essenziali.

La canapa si rivela anche piuttosto versatile come ingrediente culinario, poiché entra in cucina in forme diverse – per lo più come farina, foglie, semi o olio - arricchendo le pietanze con un tocco di novità sano e nutrientegrazie al quale l’ottimo risultato è garantito. Il suo gradevole sapore dolciastro, che richiama quello delle nocciole, si presta infatti a combinazioni di sapori tutte da scoprire.

Esistono attestazioni anche molto antiche dell’uso della canapa in cucina, soprattutto nelle ricette italiane di qualche secolo fa, e proprio a questa antica tradizione si sono ispirati gli chef dell’Università dei Sapori di Perugia, riscoprendo le potenzialità di questa pianta e creando con essa ricette originali, sane e appetitose.

Una delle proposte degli chef dell’Università dei Sapori è per esempio il Tortino di zucca in crosta di cavolo verza con fonduta allo zafferano e pesto di canapa. Per realizzare il pesto è necessario passare le foglie in acqua bollente per qualche secondo e poi frullarle con olio extravergine in un mixer ad immersione.

Altra possibilità d’impiego della canapa in cucina è nella Vellutata di patate con cannelloni verdi di canapa alle lenticchie e guanciale croccante. In questo caso protagonista dell’impasto per i cannelloni verdi è proprio la farina di canapa, da unire con la classica farina 00 per realizzare la sfoglia. Ultimo tocco al piatto i semi di canapa, da distribuire sui cannelloni insieme al guanciale croccante.

Terza ricetta consigliata dagli chef è il Medaglione di vitello bardato con funghi porcini e verdurine tornite e canapa. Anche qui la pianta è presente in due forme diverse, in qualità di seme e di olio, entrambi posti a condimento del filetto una volta terminata la cottura.

Infine gli chef dell’Università dei Sapori non dimenticano i palati più golosi e propongono una ricetta dolce  in cui la canapa accompagna ed esalta gli altri sapori. E’ il caso del Semifreddo al sedano nero e lime con spuma alla canapa e cru di cioccolato, in cui troviamo l’utilizzo direttamente delle foglie di canapa, messe in infusione con la panna montata e lo zucchero per realizzare la spuma da accompagnare al semifreddo.

Quattro ricette gustose, dunque, da provare per riportare in tavola il sapore dimenticato ma appetitoso della canapa, ingrediente versatile nell’arte culinaria, ricco di nutrienti, capace di rendere originale ogni piatto: l’Università dei Sapori, è proprio il caso di dirlo, ha riscoperto l’uso più stupefacente della canapa, quello in cucina.




Università dei Sapori
Centro Nazionale di formazione e Cultura dell’Alimentazione
Loc. Montebello – 06126 Perugia

giovedì 15 dicembre 2011

Pepe: una spezia come l'oro


Il pepe è sicuramente fra le spezie più conosciute al mondo. Usato per aromatizzare un’infinità di piatti o come condimento da tavola insieme al sale, il re delle spezie vanta una lunga storia. Le antiche cronache, infatti, ci raccontano che esso veniva commercializzato nei paesi asiatici già 4000 anni fa, fungendo in alcuni casi addirittura da valuta. La sua diffusione in Europa è attribuita ad Alessandro Magno, mentre i primi riferimenti scritti al suo utilizzo risalgono alla Historia Naturalis di Plinio il Vecchio. Per molti secoli il pepe in cucina è stato sinonimo di ricchezza, soprattutto perché il suo commercio era esclusivo degli arabi e quindi il suo prezzo piuttosto alto. La situazione cambiò notevolmente alla fine del ‘400 quando Vasco de Gama, per conto del Portogallo, trovò una via alternativa alle Indie attraverso il Capo di Buona Speranza. Il volume delle importazioni divenne allora sempre più grande, le coltivazioni aumentarono, e il suo prezzo cominciò a scendere sensibilmente. Il nome botanico del pepe è Piper Nigrum. Appartenente alla famiglia del Piperaceae, si presenta come una pianta perenne rampicante originaria dell’India Sud Occidentale che può raggiungere anche i 4 o 5 metri d’altezza e avere steli lunghi fino a 10 metri. I suoi frutti sono bacche dal diametro di circa 5 millimetri che contengono un solo seme. Il genere piper comprende circa 700 specie ma solo poche sono usate in cucina.  Quello che spesso si ignora è che la differenza tra pepe nero, verde o bianco, sta solo nel diverso grado di maturazione dei frutti e nella lavorazione. Per ottenere il primo tipo, il più piccante e aromatico, le bacche sono raccolte acerbe e poi fatte essiccare al sole fino a che non scuriscono. Il pepe verde, meno piccante della qualità nera ma più aromatico e fruttato, si ottiene sempre facendo essiccare le bacche ancora acerbe ma senza farle scurire e conservandole in un secondo tempo in salamoia o aceto rendendo così i grani morbidi. Per il pepe bianco, infine, le bacche sono raccolte solo quando completamente mature, per poi essere lasciate a bagno nell’acqua per circa una settimana fino a quando la pellicola esterna che le avvolge si stacca. I grani ottenuti, sono piccoli e hanno un sapore meno forte ma più pungente. Esiste anche una qualità di pepe rosa che in realtà non appartiene al Piper Nigrum: si tratta dello Schinus Terebinthifolius. Il suo gusto è molto delicato ed è usato soprattutto come elemento decorativo. Per essere apprezzato al meglio il pepe andrebbe macinato al momento dell’uso, ma oltre la gastronomia gli sono riconosciute diverse qualità farmacologiche. I suoi maggior pregi: l’azione stimolante e l’antibatterica derivano da una sostanza alcaloide in esso contenuta: la piperina, che favorisce la secrezione gastrica e un conseguente miglioramento della diffusione delle sostanze nutrienti nel flusso sanguigno. La piperina stimola inoltre gli enzimi del pancreas e aumenta le capacità digestive e la produzione di endorfine nel cervello, agendo come antidepressivo naturale. Un rimedio efficace contro i cali d’energia stagionali, si può ottenere versando su un fazzoletto di stoffa 4-5 gocce di olio essenziale di pepe nero, da inalare tutte le volte che ci si sente fiacchi. La sua assunzione sotto forma di olio essenziale è efficace in caso di coliche e dolori gastrici. Ultimamente questa spezia sta trovando largo uso anche nei trattamenti dei centri benessere. Le essenze del pepe nero, infatti, grazie alle loro proprietà naturali, sono utilizzate unite a oli emulsionanti per bagni rilassanti e in formulazioni per massaggi tonificanti la muscolatura e per allentare le tensioni. In caso di contusione, infine, gli impacchi freddi con essenza di pepe nero eliminano il gonfiore e diminuiscono i dolori muscolari. (Tratto da La Pelle - Marisa Paolucci)

martedì 29 novembre 2011

Dal cenone all'ultima cena


Durante le vacanze natalizie sono molti gli esperti in nutrizione che provano a misurare con esattezza quante calorie in più consumano gli Italiani per le feste. Per non rovinare l’appetito, però, sono pochi quelli che confrontando questi dati con quelli relativi all'aumento degli infarti e delle morti improvvise. Dicembre e gennaio, purtroppo, sono infatti i mesi in cui si registra un aumento statistico dei casi di ischemie e di ictus cerebrale. Secondo le statistiche nei mesi invernali, e in particolare proprio nel periodo natalizio, nei Paesi industrializzati, queste forme acute aumentano di una quota che va dal 30% al 55% e si stima che in Italia vi siano almeno 8000 casi di TIA (accessi ischemici transitori) in più rispetto al resto dell'anno. Principali imputati del fenomeno sarebbero l'aumento del desiderio di cibo determinato dalla ridotta esposizione alla luce solare e il maggior consumo di cibi ad alto tenore calorico, tipico della stagione fredda e del periodo festivo. Gli effetti negativi di una simile dieta sono potenziati anche da una maggiore sedentarietà tipica dei mesi freddi e dall'eccessivo riscaldamento degli ambienti che ostacolano l'attivazione del grasso bruno, che è quello che permette la dissipazione di energia sotto forma di calore. Salvaguardare la propria salute non è impossibile, basta seguire alcuni semplici suggerimenti, validi non solo per le feste natalizie, ma anche per la quotidianità. Acquistare solo le quantità di alimenti necessarie e consumarle solo nelle occasioni conviviali, evitando di spiluccare gli avanzi nei giorni successivi; non far mai mancare sulla tavola abbondanti caraffe di acqua, servendo le bevande gassate solo a richiesta. Per alleggerire i menù senza rinunciare al gusto è possibile utilizzare come "base" per il soffritto, vino bianco (l'alcool evapora con la cottura) o brodo sgrassato, che consentono di limitare l'uso di olio e burro - sostituendo la panna con ricotta magra diluita in poco latte - preferire ove possibile le cotture al vapore o alla piastra a quelle tradizionali - scegliere ricette che prevedano l'utilizzo di verdure nella loro preparazione, servire un gelato al limone senza grassi al posto del sorbetto - limitare il più possibile l'utilizzo del sale per insaporire i piatti, cercando invece di esaltare con spezie ed erbe aromatiche il gusto naturale degli alimenti. Per aiutare a consumare l'energia in eccesso con gli alimenti si può: mantenere in casa e negli ambienti di lavoro temperature non superiori ai 18-20 gradi - vestirsi a "strati", mantenendo in ogni ambiente - interno ed esterno - il minimo di vestiario necessario per sentirsi confortevoli - spostarsi preferibilmente a piedi, utilizzando calzature antiscivolo, e preferire le scale al posto dell'ascensore.

martedì 15 novembre 2011

Il salmone

Fra gli storici della cucina si discute ancora se la lavorazione del caviale sia anteriore o posteriore a quella della bottarga. La prima, che si ottiene attraverso il trattamento e salatura delle uova di alcune specie di storione (Acipenser sturio) è attribuita ai persiani che a questo alimento cremoso, formato da piccoli granuli morbidi e di gusto delicato dettero il nome che letteralmente significa "pesce generatore di uova". La bottarga, invece, è nota fin dall’epoca dei Fenici che furono i primi a ideare le tecniche di lavorazione e a diffonderle presso le antiche popolazioni nuragiche della Sardegna e poi in tutto il Mediterraneo diventando un prodotto pregiato e una preziosa merce di scambio. Il termine deriva dall’arabo butarikh, che significa uova di pesce salate ed essiccate, in particolare uova di tonno e di muggine, estratte dal Mugil Cephalus detto anche cefalo volpino. Altre uova di pesce comunemente utilizzate in gastronomia sono quelle derivate dal Cyclopterus lumpus, comunemente conosciuto come lompo, un pesce d'acqua salata diffuso dal nord della Norvegia al Golfo di Guascogna e nel mar Baltico, dove vive principalmente sui fondali rocciosi da pochi centimetri d'acqua a oltre 400 metri di profondità. Da alcuni anni il massaggio al caviale è entrato prepotentemente a far parte delle proposte delle più importanti e lussuose SPA del mondo. Il suo elevato costo ha portato le aziende alla ricerca di succedanei meno cari, e in questo le uova di lompo hanno trovato un immediato impiego. Si è però pensato anche alla bottarga e sono in corso studi e ricerche per verificare se questo prodotto possa uscire dalle cucine per arrivare nei centri bellezza. Si vuole scoprire se le sue proprietà nutritive e il suo concentrato di lipidi, proteine e vitamine - fra cui B12, D, E -  possa essere trasferito alla cute. Sicuramente non si ricorrerà alla bottarga di spigola, estremamente più pregiata e dal sapore dolce e delicato mentre si ricorrerà a quella di tonno, più comune e a buon mercato. Nel nostro paese sono molti i suoi luoghi di produzione: in Sardegna, a Carloforte, Alghero e Stintino. In Toscana ad Orbetello, in Sicilia a Marzamemi, Favignana e Trapani e la lavorazione della bottarga è rimasta quasi la stessa dell’antichità. Nelle acque della Sardegna, tra la fine dell’estate e gli inizi dell’autunno, i pescatori vanno per mare alla ricerca di cefali e pescano le femmine che contengono le uova; le sacche ovariche devono essere estratte con estrema attenzione per non romperle e lavate per eliminare ogni impurità. Effettuata la salatura, le uova vengono stese accuratamente su appositi ripiani per l’essiccazione e la giusta stagionatura si raggiunge dopo quattro o cinque mesi. Anche a Orbetello la bottarga si ottiene dai cefali muggini e la sua produzione risale al  XV secolo. Normalmente viene sfruttata la naturale migrazione del pesce dal mare alla laguna e viceversa, e questo permette la sua cattura nel momento ottimale della maturazione delle sacche ovariche, ad agosto, quando il cefalo si sente pronto e cerca il mare aperto. La bottarga di Orbetello ha un sapore più dolce e delicato rispetto a quella della Sardegna. Specialità tutta siciliana è la bottarga di tonno con un colore uniforme che va dal rosa chiaro al rosa scuro, una consistenza compatta e un sapore più deciso rispetto alla bottarga di muggine. Il periodo di lavorazione è a maggio dopo la mattanza dei tonni. Quando è ancora fresca la bottarga si può gustare a fettine, condita con olio, oppure a dadini per arricchire un’insalata. Può diventare un antipasto sfizioso tagliata sottilissima, messa a marinare per qualche ora nell’olio e poi servita su fettine di pomodoro o di pane abbrustolito. Quando è stagionata, l’ideale è grattugiarla sulla pasta all’ultimo minuto per avere tutto il suo aroma di mare. Non solo un concentrato di profumo di mare da portare a casa dalle vacanze, ma anche un condimento ricco e nutriente e, probabilmente, a breve, un vero cosmetico mediterraneo.

giovedì 10 novembre 2011

Il sesamo

Lo sapevate che il doping esiste da millenni e che alcune sostanze come il sesamo erano vietate agli atleti già durante le prime edizioni delle Olimpiadi? All’epoca, l’atleta che veniva pescato con un sacchetto di semi di questa pianta tra le mani incorreva in diverse sanzioni, finanche la morte. Questo perché fin dall’antichità si era a conoscenza del loro alto potere energizzante tanto che i semi costituivano uno degli alimenti base in parecchie diete di quei popoli che abitavano nelle regioni della terra considerate oggi la culla della civiltà. La sua zona d’origine è sconosciuta ma, come risulta da alcune incisioni su tavolette di argilla sumeriche del 2300 a.C. questa pianta era coltivata in Mesopotamia già 4000 anni fa, e i Babilonesi ne facevano ampio uso in cucina per preparare dolci, ne estraevano l’olio con il quale cuocevano i cibi e lo usavano come ingrediente per preparare cosmetici. Gli Egiziani la consideravano invece un farmaco, mentre in India un’antichissima tradizione esistente ancora oggi, lega l’offerta dei preziosi semini al culto degli dei. In botanica, la pianta erbacea è chiamata Sesamum indicum L. e appartiene alla famiglia delle Pedaliacee;  può raggiungere al massima un metro di altezza ed è una pianta annuale. I frutti sono capsule dalla forma allungata che contengono numerosi piccoli semi chiari o neri che vengono rilasciati quando il frutto è maturo. Questi, sono ricchi di ferro, calcio, fosforo, lecitina, silicio, magnesio, potassio. Tradizionalmente erano raccomandati nella fase della crescita e a chi svolge lavori intellettuali contengono acidi grassi insaturi omega 6 (acido linoleico) e omega 3 (acido linolenico) utili a proteggere l’organismo dalle malattie cardiocircolatorie. Alcuni studi segnalano che il sesamo rafforza le piastrine del sangue (20 gocce di olio di sesamo ogni giorno, per 3 o 4 settimane, ne aumenta il numero), stimola l’emoglobina e, essendo molto calorico, nutriente e digeribile, potenzia il sistema immunitario e tonifica il sistema nervoso e i muscoli. Nelle ustioni, invece, promuoverebbe una rapida cicatrizzazione. I semi sono anche ricchi di vit. E e nell’antica Grecia i dolcetti di sesamo erano offerti nei matrimoni alle spose in segno di buon auspicio. Questo può spiegare l’inizio della credenza su un suo potere antiaging e a favore della fertilità. Si pensa che prendere l’abitudine di aggiungere un cucchiaino di semi nelle insalate, nello yogurt, sulle frittate o nella farina per fare pane o dolci possa contribuire a ritardare l’insorgere di rughe e il deterioramento cellulare, e a nutrire e idratare i tessuti mantenendo la loro compattezza. Da non sottovalutare il contenuto di zinco, che protegge dalle infezioni, e del selenio, che contrasta l’azione dei radicali liberi. Per il suo contenuto energetico è anche un ottimo integratore nell’alimentazione dei bambini. Nel sesamo sono presenti antiossidanti naturali quali la sesamina, la sesamolina e il sesamolo che controllano il livello di colesterolo nel sangue e tutelano il fegato dai danni da ossidazione. Nelle malattie della pelle si rivela utile in caso di porpora emorragica. Il suo olio è altrettanto ricco di acidi grassi insaturi e per le sue proprietà lenitive, viene usato nel trattamento di irritazioni cutanee, secchezza, fragilità e mancanza di tono della pelle. per tali ragioni, in cosmetica si utilizza nella preparazione di saponi, shampoo e nei prodotti per la protezione solare.

martedì 8 novembre 2011

Il melone

Una buona alimentazione è la prima regola per condurre una vita sana ed equilibrata, soprattutto nel periodo estivo quando l’esigenza estetica è in allarme e il corpo necessita di alimenti sani, freschi e con moderato apporto calorico. L’ideale secondo i medici sarebbe quello di mangiare tanta verdura e soprattutto in questa stagione, molta frutta. Nel nostro paese fortunatamente c’è un’ampia scelta dell’una e dell’altra ma in particolare d’estate c’è un frutto che non manca mai sulle nostre tavole: il melone. Dolce, fresco dissetante e gustoso è l’alleato perfetto per un’abbronzatura dorata da prendere in tutto relax. Conosciuto già dagli antichi egizi, secondo quanto rappresentato da alcuni dipinti di Ercolano, questo squisito frutto venne introdotto nella nostra cultura alimentare all’inizio dell’Era Cristiana. Oggi, è uno degli alimenti cardine della cucina mediterranea, sia perché si adatta perfettamente alla realizzazione di pietanze salate e dolci, sia per la sua qualità intrinseca di essere un alimento a basso contenuto calorico. Ma le virtù del melone non si limitano a questo. Ricco di antiossidanti, contrasta le proteine dello stress nell’intestino, rasserenando le nostre giornate, e grazie all’alto contenuto di betacarotene, favorisce la tintarella. Inoltre la polpa contiene una grande percentuale di Calcio, Fosforo, Potassio, Vitamina A, B e C, che ne fanno oltre che un ottimo antiossidante naturale, un eccellente integratore per tirarsi su quando ci si sente stanchi o abbattuti. Naturalmente il melone, come del resto qualunque altra tipologia di alimento, per svolgere al meglio queste sue funzioni rigenerative e per apportare energia ai nostri corpi deve essere di buona qualità (un buon metodo per scegliere i frutti migliori è quello di odorarne la scorza, più essa è profumata migliore sarà il prodotto). In estetica se ne utilizza soprattutto la polpa per realizzare trattamenti e maschere rinfrescanti e leviganti e per contrastare la disidratazione cui la pelle va incontro soprattutto dopo l’esposizione solare.