Tante sono le tecniche di massaggio di origine orientale che
negli ultimi anni sono sbarcate in Italia con successo. Sicuramente una delle
più antiche e suggestive è quella denominata Chua k’a. Con questo nome si
indica un sistema di cure basate sulla digitopressione risalente almeno a 700
anni fa e di provenienza mongola. Praticata nell’antichità per lenire i dolori
e le ferite dei guerrieri del prode Gengis Khan, questa tecnica si basa su
alcuni principi che affondano le proprie radici nel sistema filosofico
religioso di quelle terre e di quel tempo. Il concetto cardine di questa
disciplina, in anticipo sui tempi e soprattutto su quella branca della scienza
chiamata psicosomatica, è che il corpo possiede una memoria fisica degli
avvenimenti psicologicamente o fisicamente rilevanti che ha sofferto.
Contratture e dolori che si protraggono nel tempo, quindi, sarebbero una
semplice manifestazione della paura inconscia di rivivere eventi
particolarmente traumatici subiti nel passato. In parole più semplici, dopo una
botta particolarmente forte o in seguito a una ferita, anche se si dimentica
come se la si è procurata, i muscoli attorno alla zona colpita continuerebbero
a restare contratti e a ridurre il movimento o addirittura a non farne in
assoluto per evitare di provare di nuovo quel tipo di esperienza dolorosa.
Questo trattenersi avrebbe alla lunga delle ripercussioni anche molto serie
sull’equilibrio psicofisico dell’uomo, finendo con il generare in lui tutta una
serie di malesseri diffusi e stati d’animo fortemente negativi o addirittura
debilitanti. è a questo punto che entra in gioco il guaritore e nel nostro caso
il massaggiatore. Costui agisce compiendo con le mani delle pressioni profonde
e lentissime, quasi striscianti, sul corpo del paziente, seguendo una mappa
ideale che corrisponde sia al tipo di emozione negativa che al dolore che egli
sta provando. Secondo i testi tradizionali, esistono ben 25 di queste mappe,
ognuna delle quali sarebbe associata ad altrettanti disturbi fisici ed
emozioni. Tra queste ultime secondo l’antica concezione mongola, le più
importanti sono la paura, la timidezza, l’incapacità decisionale e pratica, lo
scoraggiamento e il disorientamento. Il fine ultimo dei movimenti eseguiti è
quello di sciogliere le tensioni riconducendo così la persona tra le braccia
del Kath. Con questo nome si indica l’energia primordiale che pervade ogni cosa
fin dalla sua creazione ma da cui ci si allontana quando appunto le contratture
e le negatività ne bloccano o quantomeno limitano il naturale fluire nel nostro
essere. La manipolazione ha, di conseguenza, anche lo scopo di liberare le
emozioni sopite o bloccate rendendole pure e permettendo loro di esplodere
nella loro piena intensità. Tale risultato nasconde però un’insidia: quella di
finire con il creare dei traumi emozionali nel paziente. Per evitare questo
tipo di problema è necessario che il trainer abbia una preparazione più che
adeguata nel praticare il Chua k’a e soprattutto che sia disponibile a seguire
il soggetto delle sue cure anche dopo la fine del trattamento fornendogli
sostegno psicologico e supporto morale laddove sia richiesto. Attenzione quindi
a chi dovesse proporvi corsi di formazione della durata di un fine settimana...
Per finire una curiosità, chi l’ha provato dice che si tratta di un massaggio
estremamente piacevole in cui si sfiora la labile linea di confine che esiste
tra il piacere e il dolore.
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